Fed, ecco il pericolo che corre il successore di Powell

Mancano pochi mesi alla scadenza del mandato di Jerome Powell, prevista per maggio 2026, e Donald Trump ha già acceso i motori per innestare un successore allineato alle sue politiche. L’autonomia della Fed, baluardo della solidità economica occidentale, è in palio. Questo articolo analizza rischi, candidati, tensioni politiche, conseguenze e scenari futuri — specialmente per l’Italia e dell’Europa.


1. Contesto istituzionale e storico

L’indipendenza della Federal Reserve nasce dal Federal Reserve Act del 1913 e fu consolidata con l’Accordo Tesoro‑Fed del 1951, che sancì l’autonomia nelle decisioni monetarie. Nel corso dei decenni, vari presidenti hanno tentato (più o meno apertamente) di influenzarla: Lyndon Johnson con William Martin negli anni ’60; Nixon con Burns negli anni ’70; e ora, Trump con Powell .


2. Trump vs Powell: la guerra silenziosa

Trump ha etichettato Powell come “Mr. Too Late”, ha ventilato l’ipotesi di una rimozione — pur non avendone il potere legale — e lo ha attaccato per la ristrutturazione “gonfiata” della sede della Fed (da 1,9 a 2,5 miliardi di dollari) . Powell ha risposto a tono: la legge vieta la sua rimozione, se non per giusta causa.


3. Le nomine che scaldano i mercati

Stephen Miran

Trump ha nominato Stephen Miran membro della Fed, fino a gennaio 2026, sostituendo la dimissionaria Adriana Kugler . Economista di Harvard, considerato dolce sul fronte monetario e scettico sull’autonomia della Fed — assai vicino alla narrativa trumpiana. Anche se il suo voto da solo non sposterà le politiche, la sua presenza potrebbe dare fiato ai dissenzienti interni .

I principali candidati

  • Kevin Hassett (advisor Trump): “Un Kevin, e l’altro Kevin”, dice Trump — e intende Hassett come papabile .
  • Kevin Warsh (ex governatore Fed): considerato rispettabile, ma forse poco flessibile sul fronte politico .
  • Christopher Waller (governatore Fed): visto come “shadow chair” — un papabile capace, affidabile e sostenitore di tagli tassi
  • Michelle Bowman, Philip Jefferson, Lorie Logan: considerati per la successione, con posizioni diverse: Bowman e Waller più incline ai toni accomodanti; Logan più restrittiva; Jefferson continuità Powell
  • Scott Bessent (Treasury Secretary): guida il processo formale di selezione, insiste sulla necessità di un candidato capace di consenso e indipendente

4. Il rischio vero: l’indipendenza sotto assedio

Gli analisti di UBS avvertono che pressioni politiche sulla Fed possono aumentare il premio di rischio sui Treasury e indebolire il dollaro, ma credono che Trump eviterà passi estremi per non turbare i mercati .

Il rischio più serio? Un compromesso tra politica e finanza sposterebbe la Fed verso dinamiche di breve termine, mal digerite da investitori e mercati — con possibili effetti stile emergenti, in stile Erdoğan (citato come paragone da alcuni studiosi) .

In effetti, i mercati già reagiscono: il dollaro ha ceduto, la curva dei rendimenti si è invertita, e la Fed è percepita come più vulnerabile alle pressioni politiche .


5. Implicazioni economico-finanziarie

Un nuovo chair filo‑Trump (Hassett o Miran, ad esempio) spingerà verso tagli tassi e una politica monetaria più espansiva. Da una parte stimolerebbe consumi e risorse politiche; dall’altra, rischia di rilanciare l’inflazione, mettere sotto pressione il mercato obbligazionario, allarmare la Fed e causare reazioni negative a livello internazionale.


6. Come difendere l’autonomia della Fed

  1. Quadro legale “for cause” — protezione forte per il Chair, possibilità di rimozione solo per colpa grave .
  2. Equilibrio istituzionale — Biden-era appointees come Jefferson, Cook e altri mantengono un contrappeso forte .
  3. Leadership credibile — Bessent sottolinea l’importanza di un candidato che ispiri fiducia nei mercati e sappia costruir consenso .
  4. Trasparenza pubblica — contrastare il “shadow chair” e mantenere il FOMC come spazio di decisioni tecniche, non politiche

Trump vs Powell

Perché ci riguarda: i canali di trasmissione

La politica monetaria USA “viaggia” in Europa attraverso cinque canali principali: tasso di cambio (dollaro/euro), prezzi delle commodity, mercati finanziari e premi per il rischio, credito globale e commercio internazionale. La letteratura (ECB, Banca d’Italia, BIS, NBER) documenta che gli shock monetari USA generano un “global financial cycle” che muove insieme attivi rischiosi, condizioni finanziarie e flussi di capitale.


1) Euro/dollaro e inflazione importata

In uno scenario di Fed espansiva, il dollaro tende ad indebolirsi (tutto il resto uguale), favorendo un euro più forte. Per l’area euro è tipicamente disinflazionistico: energia e materie prime prezzate in USD costano meno in euro, comprimendo l’inflazione importata. L’ECB stessa ricorda che gli shock USA incidono rapidamente via cambio; un allentamento negli USA tende a spingere al rialzo l’euro nel breve/medio periodo, con effetti disinflazionistici nel tempo.

Impatto Italia: bollette e input energetici leggermente meno cari in euro → migliore margine per industria energivora (chimica, carta, ceramica) e PMI importatrici di semilavorati. Export verso USA un po’ meno competitivo (euro più forte), ma domanda USA sostenuta può compensare.


2) Tassi europei, curva e spread

Una Fed molto accomodante allenta le condizioni finanziarie globali e di solito abbassa i rendimenti core anche in Europa (via comovimenti del ciclo finanziario e ricerca di rendimento), pur con mille sfumature locali. Ciò tende a comprimere gli spread creditizi e ad apprezzare i titoli a duration lunga (Bund, OAT, BTP), specie se l’ECB non contrasta apertamente.

  • BTP/Italia: in prima battuta, scenario favorevole a BTP e corporate IG/high beta (banche incluse), con spread che possono restringersi grazie ai flussi internazionali in cerca di rendimento. Attenzione però: se l’allentamento Fed rilanciasse troppo la crescita e le commodity, i rendimenti lunghi globali potrebbero poi risalire per aspettative d’inflazione future e per maggior premio a termine (il 2025 vede già discussioni su curve USA più ripide). In quel caso il beneficio duration si riduce e si torna a selezionare scadenze medie.
  • ECB reaction function: nel 2025-26 gli analisti vedono l’ECB ancora orientata a qualche taglio, ma con grande incertezza sul 2026 (rischio divergenza Fed/ECB). Se l’euro si rafforza troppo e l’inflazione scende, l’ECB potrebbe sentirsi meno costretta a essere aggressiva; viceversa, se i mercati “surriscaldano”, potrebbe raffreddare l’entusiasmo con guidance prudente.

3) Banche europee: margini vs qualità del credito

Una Fed espansiva tende a migliorare il sentiment e a sostenere il credito, riducendo i costi di funding in dollari e allentando le condizioni globali. Per le banche europee:

  • Pro: compressione degli spread di mercato, maggior domanda di credito, minori perdite attese su attivi rischiosi.
  • Contro: se l’ECB segue con tagli/condizioni più facili, nel tempo si comprimono i margini di interesse (NIM); molto dipende dalla velocità di “pass-through” sui depositi. Studi ECB mostrano spillover diretti delle decisioni Fed su banche e imprese dell’area euro tramite canale finanziario.

In Italia, dove il modello bancario è retail-heavy, l’effetto netto iniziale è spesso positivo per i titoli bancari (spread più stretti, meno rischio sistemico). Nel medio periodo, con tassi più bassi, il tema torna ad essere l’efficienza operativa e le commissioni.


4) Azioni europee: rotazioni settoriali

Con Fed accomodante si innescano di solito rotazioni verso ciclici e growth:

  • Growth/Tech europeo: beneficia di tassi più bassi (multipli più alti).
  • Ciclici/industriali/auto: domanda USA più solida aiuta, ma euro forte è vento contrario sull’export netto.
  • Energia & materiali: dipende dal prezzo delle commodity; un allentamento Fed può sostenere petrolio/metalli via crescita mondiale e risk-on, ma euro forte neutralizza in parte i margini delle importatrici europee.
    Tutto questo è coerente con l’idea del “global financial cycle” che gonfia i prezzi degli asset rischiosi in presenza di easing USA.

5) Materie prime e bollette

Una Fed molto espansiva favorisce la domanda globale e quindi, con ritardo, prezzi delle commodity più sostenuti. Per l’Europa il bilancio è ambiguo:

  • Pro: crescita esterna più forte.
  • Contro: prezzi energia/metalli più alti.
    Con euro più forte, però, l’impatto netto sul PPI europeo può restare gestibile. Le fasi di risk-on documentate da Reuters negli ultimi mesi si sono spesso mosse insieme alle aspettative di tagli Fed.

6) Debito pubblico: opportunità (e due rischi)

Per Tesori molto indebitati (Italia), condizioni globali più morbide abbassano il costo marginale di finanziamento e aiutano il roll-over. Ma:

  1. se l’allentamento USA riaccende l’inflazione globale, i tassi lunghi possono poi risalire;
  2. se il dollaro cede molto, l’Europa importa meno inflazione ma può perdere competitività extra-UE, frenando la crescita e quindi i conti pubblici.
    La dinamica 2025 parla di una possibile curva USA più ripida anche in presenza di tagli Fed (per premio a termine e deficit USA); se i long end USA tirano, i long end europei raramente restano immuni.

7) PMI italiane: chi vince, chi soffre

  • Vincono: importatori netti di input in USD (chimica fine, farmaceutica, fashion con supply chain dollaro-centrica); società domestiche levered che rifinanziano a tassi più bassi; utilities regolate (costo del capitale in calo).
  • Soffrono: esportatori con forte quota USA e bassa copertura sul cambio; business con pricing power limitato se l’euro si rafforza; banche medio-piccole se la compressione NIM non è compensata da volumi/commissioni. bancaditalia.it

8) Per l’ECB: “importare” allentamento o fare da contrappeso?

L’ECB ha segnalato che gli shock USA possono prima muovere in direzione opposta (via cambio) e poi allinearsi per effetto su domanda globale e condizioni finanziarie. Tradotto: con Fed molto espansiva, l’ECB può permettersi più cautela (l’euro forte aiuta sull’inflazione) oppure assecondare se la crescita rallenta. Il 2026 è visto dagli analisti come l’anno del vero “dilemma” per Francoforte.


9) Rischi di coda da non sottovalutare

  1. Re-inflazione globale: se l’allentamento è percepito come eccessivo, i mercati prezzano inflazione futura più alta → term premium su, curva lunga su, equity growth sotto pressione.
  2. Politica e tassi: qualunque incertezza sulla governance Fed o su tariffe USA (con effetti su inflazione e supply chain) può limitare la portata dell’allentamento e creare volatilità cross-asset.

10) Idee operative (non consigli finanziari)

  • Fixed income EUR: duration selettiva (5–10 anni) e bias verso IG europeo; tatticamente interessanti i BTP su fasi di risk-on, ma pronti ad accorciare se i lunghi USA tirano.
  • Equity EU: sovrappesare quality growth e ciclici globali su prime ondate di easing, con hedge cambio per esportatori USD-sensibili.
  • Cambio: per chi esporta in USD, hedging dinamico (collar/forward) quando l’euro si rafforza.
  • Banche: bene nel breve (spread più stretti), ma occhio alla normalizzazione NIM nel medio periodo.

Conclusione

Il mandato di Powell scade nel maggio 2026. Trump sta costruendo un apparato per inserire un successore fedele — ma l’indipendenza della Fed è un bene fragile che va preservato. Il vero pericolo non è solo il nome del prossimo chair, ma la colonizzazione lenta e deliberata dell’istituzione monetaria da parte della politica.

L’ultima parola spetta al Senato, ai mercati e, soprattutto, al buon senso civico: difendere la Fed come bastione tecnico, non scettro politico.


Autore

  • massimiliano biagetti

    Fondatore di Economia Italiacom e Finanza Italiacom è divulgatore finanziario e trader.