Da qualche anno Giorgio Armani stava lavorando al piano di successione del gruppo da lui fondato, ribadendo con fermezza il suo ruolo. «Finché vivrò, sarò io il padrone», aveva dichiarato dopo una sfilata, a indicare che finché in vita avrebbe mantenuto il pieno controllo. Con la scomparsa dello stilista all’età di 91 anni, si apre ora il capitolo del dopo Armani: un impero della moda indipendente, un patrimonio stimato in circa 12 miliardi di euro e un futuro da definire tra eredi, fondazione, possibili quotazioni in Borsa e le mire dei colossi francesi del lusso.
I numeri dell’impero Armani
- Patrimonio personale: circa 12 miliardi di euro, secondo Forbes, che collocano Armani tra gli uomini più ricchi d’Italia (al quarto posto al momento della morte) Bloomberg stima la ricchezza in 9,5 miliardi di dollari.
- Dimensione del gruppo: 2,3 miliardi di euro di fatturato annuo nel 2024 con utili ante imposte in calo (74,5 milioni nel 2024) ma investimenti record di 332 milioni nello stesso anno, autofinanziati senza debito e con una cassa di 570 milioni.
- . L’Europa genera circa la metà dei ricavi (49% nel 2024), con Americhe e Asia-Pacifico attorno al 21% ciascuna. Oltre alla moda (linee Giorgio Armani, Emporio Armani, EA7, Armani Exchange), l’impero spazia in accessori, occhiali, orologi, gioielli, cosmetici, fino alla ristorazione e agli hotel.
- Altri asset: Armani lascia un vasto patrimonio immobiliare (ville da Pantelleria a Forte dei Marmi, dalla residenza di via Borgonuovo a Milano alla Villa Rosa nell’Oltrepò pavese, oltre a case a St. Moritz, Parigi, Saint Tropez). Possedeva inoltre una collezione di opere d’arte, la squadra di basket Olimpia Milano e, da ultimo, lo storico locale “La Capannina” di Forte dei Marmi, acquistato poco prima della sua morte. Quest’ultima acquisizione è stata definita un atto d’amore, dato che proprio alla Capannina Armani conobbe il grande amore della sua vita, Sergio Galeotti, co-fondatore della maison scomparso nel 1985.
Il piano di successione: eredi e Fondazione Armani
Giorgio Armani non ha lasciato figli e quindi potrà disporre liberamente della sua eredità, non essendovi eredi legittimi da tutelare. Gli eredi designati includono i tre nipoti a lui più vicini: Silvana Armani (69 anni) e Roberta Armani (54), figlie del fratello Sergio; e Andrea Camerana (55), figlio della sorella Rosanna. La sorella Rosanna Armani (86) è anch’essa coinvolta nell’assetto familiare. Quattro membri della famiglia (Rosanna e i tre nipoti) sedevano già nel consiglio di amministrazione del gruppo, insieme a due figure chiave esterne: lo storico braccio destro Pantaleo “Leo” Dell’Orco (72, responsabile delle linee uomo) e l’imprenditore Federico Marchetti, fondatore di Yoox.
Già da oltre un decennio Armani aveva iniziato a pianificare la continuità dell’azienda, coinvolgendo familiari fidati e collaboratori storici. Nel 2016 ha creato la Fondazione Giorgio Armani, pensata proprio per salvaguardare la governance del gruppo e garantirne la stabilità futura La Fondazione deteneva inizialmente solo lo 0,1% del capitale del gruppo, ma – come spiegò lo stilista stesso – dopo la sua morte ne deterrà una quota ben maggiore, affiancando gli altri eredi. Armani aveva inoltre designato tre persone di sua fiducia che guideranno la Fondazione dopo di lui. Il ruolo della Fondazione sarà essenziale per garantire l’equilibrio nella Giorgio Armani S.p.A., mantenere armonia tra gli eredi ed evitare che il gruppo venga acquistato da altri o spezzettato. In altre parole, è un meccanismo di tutela dell’indipendenza e dell’unità dell’impero Armani nel periodo post-fondatore.
Del piano successorio si conoscono già diverse linee guida, formalizzate in un nuovo statuto societario predisposto da Armani. Approvato originariamente nel 2016 e ritoccato a settembre 2023 (con l’introduzione di azioni senza voto), il nuovo statuto entra in vigore con l’apertura della successione – cioè dopo la morte del fondatore – e rappresenta l’architrave del “dopo Giorgio”. Esso prevede una complessa struttura azionaria suddivisa in sei categorie (dalla A alla F), con diritti di voto differenziati a parità di diritti economici. In particolare, le azioni di categoria A rappresentano il 30% del capitale e le F il 10%, mentre le altre (B, C, D, E) il 15% ciascuna. Tuttavia, ogni azione A ha diritto a 1,33 voti e ogni F a 3 voti, così che le categorie A+F, pur detenendo solo il 40% del capitale, controllano oltre il 53% dei voti in assemblea Inoltre, i soci di categoria A potranno nominare 3 consiglieri (tra cui il presidente) e quelli di categoria F 2 consiglieri (tra cui l’amministratore delegato), in un consiglio di amministrazione di 8 membri. È molto probabile che la Fondazione Giorgio Armani rientrerà proprio tra i soci di categorie A e F, esercitando dunque un controllo di fatto sul gruppo anche senza detenere la maggioranza assoluta del capitale. Questo assetto garantisce che l’azienda resti saldamente nelle mani delle persone scelte da Armani almeno nel medio termine, prevenendo conflitti e instabilità immediata tra gli eredi.
Come ha dichiarato Armani stesso, “la soluzione migliore [per la successione] sarebbe un gruppo di persone fidate vicine a me e scelte da me”. Questa visione si sta realizzando: i familiari più stretti e i collaboratori di lunga data guideranno collegialmente l’impresa, sotto la supervisione della Fondazione da lui istituita. “Mi auguro che il gruppo continui a prosperare anche in mia assenza… Ho lavorato duramente per garantire una transizione senza intoppi”, aveva spiegato Armani pochi mesi fa. Del resto, Leo Dell’Orco è da oltre 45 anni il suo uomo di fiducia (fu assunto nel 1977) e lo stilista lo ha definito un partner di una vita. Le nipoti Silvana (a capo del design donna) e Roberta (responsabile comunicazione VIP e celebrities) lavorano da decenni nell’azienda, mentre il nipote Andrea Camerana ha ricoperto vari ruoli manageriali nel grupp. Tutti loro – già presenti nel CDA – sono destinati a prendere in mano parti dell’impero fashion di famigliaqz.com.
Quotazione in Borsa: indipendenza e scenari futuri
Uno dei temi più discussi è la possibile quotazione in Borsa del Gruppo Armani. Fino ad oggi la società è rimasta strettamente privata: Giorgio Armani ne possedeva il 99,9% delle azioni (il restante 0,1% appartiene alla Fondazione), rendendo Armani uno dei pochissimi grandi marchi del lusso ancora totalmente indipendenti. “Re Giorgio” ha sempre difeso con orgoglio l’autonomia della sua maison: “L’indipendenza è uno dei valori fondamentali di tutto ciò che ho creato, che ho difeso tenacemente fino all’ostinazione”, scriveva nella sua autobiografia. Negli anni scorsi lo stilista aveva più volte escluso la vendita o l’ingresso di investitori esterni, e infatti Armani è rimasto un’eccezione in un settore dove molti altri marchi italiani prestigiosi sono stati acquistati.
Tuttavia, Armani era consapevole che nulla è eterno. In un’intervista del 2024 al Financial Times, poco prima di compiere 90 anni, aveva ammesso di non escludere cambiamenti nella struttura dell’azienda una volta non fosse più al comando. “L’indipendenza dai grandi gruppi potrebbe ancora essere un valore trainante per il gruppo in futuro, ma non mi sento di escludere nulla”, dichiarò, aggiungendo che anche la quotazione in Borsa è “un’opzione che potrebbe essere presa in considerazione, auspicabilmente in un futuro lontano”. Dunque, sebbene in vita non abbia mai avviato concretamente il processo di IPO, non ha nemmeno escluso che i successori possano un giorno portare Armani in Borsa.
Il nuovo statuto societario riflette questa possibilità in modo preciso. Esso stabilisce che solo dopo cinque anni dall’entrata in vigore dello statuto (quindi cinque anni dalla scomparsa di Giorgio Armani) si potrà valutare l’ingresso in Borsa. Inoltre, un’eventuale quotazione richiederà il voto favorevole della maggioranza degli amministratori. In pratica, fino almeno al 2030 l’azienda resterà fuori dai listini, garantendo un lustro di stabilità gestionale sotto la guida degli eredi e della Fondazione prima di qualunque mossa sul mercato. Questa clausola di attesa di 5 anni, inserita già nel 2016 e confermata nell’aggiornamento del 2023, evidenzia la volontà di evitare decisioni affrettate subito dopo la morte del fondatore.
Dal punto di vista finanziario, la scelta di non quotarsi nell’immediato appare prudente. Il settore del lusso ha attraversato di recente un rallentamento: gli ultimi bilanci di Armani rispecchiano l’impatto della frenata dei consumi, con ricavi 2024 in calo del 5-6% sul 2023 e utili ridotti. Nonostante ciò, il gruppo ha continuato a investire fortemente (oltre 300 milioni nel 2024) per rinnovare le sue boutique di punta nel mondo – da New York a Milano e Parigi – e per potenziare l’e-commerce. Questi investimenti, tutti autofinanziati, dimostrano la solidità della maison e la volontà di gettare le basi per la crescita futura. È plausibile che solo dopo aver consolidato risultati e governance nella nuova era, si possa tornare a considerare l’IPO, magari per raccogliere capitali utili all’espansione globale o all’acquisizione di nuovi brand.
Va detto che Giorgio Armani in passato valutò soluzioni alternative per il futuro della società, purché rispettose dell’identità italiana del marchio. In un’intervista del 2021, lasciò intendere che “l’idea di Armani come azienda indipendente non è così strettamente necessaria” e che “si potrebbe pensare a un legataliana”, escludendo invece esplicitamente un acquirente francese. Questo portò molti osservatori a ipotizzare un coinvolgimento di Exor, la holding della famiglia Agnelli, come possib. In ogni caso, qualsiasi aggregazione o apertura del capitale verrebbe presa in considerazione solo se funzionale a garantire solidità e continuità all’azienda, mai per necessità impellenti. Come ha sottolineato lo stilista, “ciò che ha sempre caratterizzato il successo del mio lavoro è la capacità di adattarsi ai tempi che cambiano”. Dunque l’IPO o altre operazioni straordinarie non sono un tabù, ma dovranno avvenire alle condizioni giuste e nei tempi giusti, mantenendo intatti lo stile e i valori che il marchio Armani incarna.
Le mire francesi e la difesa dell’indipendenza
L’ipotesi di una vendita o di un’acquisizione del gruppo Armani ha da sempre alimentato le speculazioni nel mondo della moda, attirando l’attenzione dei grandi conglomerati del lusso, in primis quelli francesi come LVMH (guidato da Bernard Arnault) o Kering. Non è un segreto che questi colossi abbiano incorporato molti brand italiani (Gucci, Fendi, Bottega Veneta, Bulgari, etc.), e Armani rappresenta un trofeo ambito per completare il loro portafoglio. In vita, però, Giorgio Armani si è opposto strenuamente a questa prospettiva: il suo gruppo è rimasto uno degli ultimi baluardi indipendenti del lusso italiano, evitando il destino toccato ad altri marchi prestigiosi di venire assorbiti dai giganti stranieri. “Ho sempre scelto di investire in progetti simbolici e fondamentali per il futuro dell’azienda”, dichiarava Armani, sottolineando come il suo brand fosse “relativamente piccolo” rispetto ai giganti francesi LVMH e Kering ma intenzionato a crescere col proprio passo.
Proprio per prevenire ingerenze esterne, Armani ha costruito una struttura tale da blindare la proprietà almeno per i prossimi anni. Il nuovo statuto richiede il 75% dei voti in assemblea per qualunque modifica statutaria, fusione o cessione straordinaria. Ciò significa che nessuna decisione di vendere l’azienda o spezzettarla potrà essere presa senza un consenso quasi unanime dei soci, scenario altamente improbabile se la Fondazione (espressione della volontà del fondatore) mantiene il controllo delle quote di maggior peso. Inoltre, la mission affidata alla Fondazione stessa è esplicita: evitare che il gruppo venga acquistato da altri o smembrato
Questo non ha impedito ai rumor di proliferare. Ogni qualvolta nel passato Armani mostrava segnali di apertura (come le dichiarazioni del 2021 sulla possibile alleanza italiana), si scatenavano voci su pretendenti pronti alla porta. LVMH, in particolare, è spesso indicata dagli analisti come potenzialmente interessata se mai Armani fosse disponibile: Arnault ha elogiato Armani definendolo un genio dell’eleganza italiana e, dopo la sua morte, lo ha commemorato pubblicamente. Finché Armani era in vita, però, “un compratore francese non era nei piani” – aveva detto chiaro e tondo che “un acquirente francese non è nei cartellini” (“a French buyer is not in the cards”).
Per il prossimo futuro, grazie agli assetti successori predisposti, il Gruppo Armani dovrebbe restare indipendente e al riparo da scalate ostili o offerte di acquisizione. Tuttavia, nel lungo termine, molto dipenderà dalle scelte delle nuove generazioni e dalle condizioni di mercato. Se tra qualche anno gli eredi decidessero di aprire il capitale, è plausibile che i grandi attori del lusso (non solo LVMH, ma anche gruppi come Richemont o lo stesso Prada, che di recente ha fatto acquisizioni importanti) saranno pronti a farsi avanti. D’altro canto, c’è anche la via di una fondazione proprietaria sul modello Rolex – come ipotizzato da alcuni esperti – che potrebbe garantire l’indipendenza a tempo indefinito. Luca Solca, noto analista del lusso, ha suggerito che lo scenario futuro più probabile sia quello di un’azienda inserita nella Fondazione Armani, simile a come Rolex è posseduta dal 1960 da una fondazione privata (Hans Wilsdorf Foundation). Questo assetto consentirebbe al marchio di proseguire la propria strada autonoma, finanziandosi con gli utili e i dividendi (quasi 600 milioni di euro di profitti cumulati negli ultimi quattro anni, in parte distribuiti allo stesso Armani, e che in futuro costituiranno fonte di reddito per gli eredi).
In sintesi, le mire francesi sul gioiello Armani restano, ma dovranno fare i conti con la visione e le strutture lasciate da Giorgio Armani. Finché il marchio conserverà la rotta tracciata dal suo fondatore – crescita sostenibile, centralità dello stile e controllo familiare – non sarà facile per nessuno strapparlo dall’orbita italiana. Armani stesso, poco prima di lasciarci, ha ribadito: “Penso che l’indipendenza potrebbe ancora essere un valore… ma ciò che ha sempre caratterizzato il mio successo è l’adattarsi ai tempi”. Dunque, mai dire mai: se cambieranno i tempi, potrebbe cambiare anche la strategia, ma alle condizioni dettate dallo spirito di Armani, non da mire altrui.
Armani, il Re della Moda italiana
Oltre alle questioni finanziarie, l’eredità di Giorgio Armani è anche quella di un gigante creativo che ha segnato la storia della moda. Nato a Piacenza l’11 luglio 1934, Armani iniziò la sua carriera in ambiti lontani dalla moda (studi di medicina, poi vetrinista nei grandi magazzini) per approdare come designer dapprima a Nino Cerruti negli anni ‘60. Nel 1975 fondò a Milano, insieme al compagno Sergio Galeotti, la Giorgio Armani S.p.A., destinata a rivoluzionare il concetto di eleganza nel mondo. La sua visione stilistica fu chiara fin da subito: linee pulite, sartorialità impeccabile ma confortevole, lusso discreto.
Armani eliminò rigidità e orpelli dall’abbigliamento formale, introducendo capi come la celebre giacca destrutturata (non più imbottita e foderata come da tradizione, ma morbida e leggera), che debuttò proprio nel 1975 cambiando per sempre il modo di vestire sia degli uomini sia delle donne. Fu un pioniere del power dressing al femminile: negli anni ’80 le sue giacche dalle spalle ampie e linee maschili diventarono l’uniforme della donna in carriera, conferendo autorevolezza e modernità al guardaroba femminile. In parallelo, il designer fu maestro nell’uso dei colori neutri: famosa è la creazione del “greige”, una tonalità a metà tra grigio e beige, divenuta il suo marchio di fabbrica per incarnare un’eleganza metropolitana sobria e raffinata. “Non si può essere un fenicottero sgargiante in una città come Milano”, spiegò per giustifi.
Nel corso di oltre 50 anni di carriera, Giorgio Armani ha costruito un impero del lifestyle: non solo abbigliamento (dall’alta moda Giorgio Armani al prêt-à-porter Emporio Armani fino alle linee più giovani come Armani Exchange), ma anche profumi bestseller, linee di cosmetica, collezioni di arredamento con Armani/Casa, ristoranti e caffè di lusso (come l’Armani Nobu e l’Armani Caffè), hotel a suo nome (a Milano e a Dubai). Questa diversificazione ha fatto del suo marchio un sinonimo di Italian style a 360 gradi. Armani ha portato lo stile italiano nel mondo, diventando il preferito di Hollywood: sin dagli anni ’80 ha vestito star del calibro di Richard Gere (leggendario il suo completo in American Gigolò del 1980) e poi una miriade di attori e attrici sui red carpet internazionali. Ha collaborato ai costumi di oltre 200 film, da Goodfellas a The Wolf of Wall Street, influenzando l’immaginario cinematografico con la sua estetica. Celebre la sua amicizia con film-star come Michelle Pfeiffer, Jodie Foster, Julia Roberts e tantissime altre, spesso apparse in Armani Privé nelle occasioni di gala. Nel mondo dello sport e dello spettacolo, la lista di icone legate ad Armani va da David Beckham a Lady Gaga, testimonianza di un appeal trasversale.
Uomo schivo e riservato nella vita privata, Giorgio Armani è sempre stato il volto pubblico del suo brand, guadagnandosi il soprannome di “Re Giorgio” per l’indiscusso dominio nel panorama della moda made in Italy. Ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti, tra cui il CFDA International Award nel 1983 e il Lifetime Achievement Award nel 1987, oltre a onorificenze come il titolo di Cavaliere della Repubblica. Fino agli ultimi giorni ha mantenuto una presenza attiva: emblematico vederlo sfilare e inchinarsi al termine di ogni show, talvolta accompagnato proprio dal fedele Leo Dell’Orco nei periodi in cui la salute lo costringeva a riposo. Ha diretto personalmente il 50º anniversario della maison (2025) tramite videochiamate, perfino dai letti di ospedale, a dimostrazione del suo attaccamento viscerale all’azienda. “La mia più grande debolezza è che controllo tutto”, ammise una volta – ma è anche la forza che ha permesso all’Armani style di rimanere coerente e riconoscibile nel tempo.
Con la sua scomparsa si chiude un’epoca leggendaria, ma l’eredità di Giorgio Armani è destinata a perdurare. Non solo perché ha predisposto con cura maniacale il passaggio generazionale, ma anche perché ha lasciato un’impronta culturale profonda: un modo di vestire all’insegna dell’eleganza senza tempo, del minimalismo sofisticato e della qualità artigianale. “L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”, amava ripetere, e proprio questo sarà ricordato di lui. Grazie al suo lavoro, milioni di persone hanno scoperto il valore di uno stile che esalta la personalità senza ostentazione.
Re Giorgio ha trasformato una piccola azienda milanese in un gruppo di rilevanza internazionale, “pezzo per pezzo” e “grazie al prezioso contributo dei collaboratori scelti lungo il cammino”. Ha saputo adattarsi ai tempi mantenendo però salda la propria visione. Ora spetta ai suoi eredi e successori il compito di custodire questo tesoro – creativo e imprenditoriale – e traghettarlo nel futuro. Se seguiranno l’esempio di rigore, passione e innovazione che Giorgio Armani ha dato, il nome Armani continuerà a splendere nel firmamento della moda globale, indipendente e fiero, proprio come voleva il suo fondatore.
10 FAQ su Giorgio Armani che gli utenti cercano più spesso :
- Quanto vale il patrimonio di Giorgio Armani?
Il suo patrimonio personale è stato stimato in circa 12 miliardi di dollari al momento della sua morte. - Chi sono gli eredi di Giorgio Armani?
I principali eredi sono le nipoti Silvana e Roberta Armani, il nipote Andrea Camerana, la sorella Rosanna Armani e la Fondazione Giorgio Armani. - Giorgio Armani aveva figli?
No, non ha avuto figli. - Che ruolo ha la Fondazione Giorgio Armani nella successione?
La Fondazione avrà un ruolo centrale nella governance futura, con l’obiettivo di garantire l’indipendenza del gruppo. - Il Gruppo Armani sarà quotato in Borsa?
L’ipotesi esiste, ma non prima di cinque anni dalla morte del fondatore, secondo lo statuto societario. - Qual è stata l’invenzione più famosa di Giorgio Armani?
La giacca destrutturata, che ha rivoluzionato l’abbigliamento maschile e femminile. - Perché viene chiamato “Re Giorgio”?
Per l’influenza e il dominio esercitati nella moda italiana e mondiale dagli anni ’80 in poi. - Quali marchi appartengono al Gruppo Armani?
Giorgio Armani, Emporio Armani, Armani Exchange, EA7, Armani Privé, Armani/Casa, Armani Beauty, oltre a ristoranti e hotel di lusso. - Giorgio Armani ha mai venduto la sua azienda?
No, ha sempre mantenuto l’indipendenza del gruppo, rifiutando offerte da colossi come LVMH o Kering. - Qual è stata la filosofia di stile di Giorgio Armani?
Eleganza minimalista, linee pulite, colori neutri, e il principio “L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”.