Tra pandemia e guerra, le economie internazionali stanno vivendo momenti di certo non ottimali, vedendo contemporaneamente inflazione a livelli record e stagnazione dei mercati. Sono queste le condizioni che portano alla stagflazione, che scopriremo nell’articolo di oggi attraverso significato e conseguenze nell’economia quotidiana e negli investimenti.
Un’economia stagnante riduce il potere d’acquisto e quindi i consumi, mentre si perde il lavoro e anche la produzione si ferma, incidendo direttamente sull’andamento del PIL, e spesso nemmeno le politiche monetarie portano risultati. Per questo c’è da capire, cos’è, cosa porta alla stagflazione e quali sono i suoi effetti?
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Cos’è la stagflazione e da cosa deriva?
Detta anche inflazione recessiva, per stagflazione si intende una situazione economica in cui si verificano contemporaneamente ondate d’inflazione e stagnazione del mercato, con relativa mancata crescita del PIL. Per via della sua natura è particolarmente insolita ma verosimile davanti forti crisi globali, manifestandosi con l’avvento ciclico di una serie di condizioni dal breve al lungo termine:
- I prezzi generali aumentano
- Il potere d’acquisto diminuisce e i consumi rallentano
- La disoccupazione aumenta a causa dell’aumento dei costi del lavoro
- La produzione industriale/manifatturiera rallenta
Specialmente davanti ad una crescita economica ridotta o nulla, la stagflazione è un fenomeno particolarmente negativo per le banche centrali, che intervengono con politiche mirate ad aumentare la quantità di moneta circolante riducendo però il suo valore: ciò può essere utile per contrastare l’inflazione ma non la stagnazione, per cui si richiedono interventi governativi strutturali per rilanciare occupazione e consumi.
Quali sono le conseguenze della stagflazione e come aggirarle?
Nonostante la sua natura macroeconomica, gli effetti della stagflazione si possono notare anche nel quotidiano locale, con l’incremento dei prezzi della maggior parte dei beni di consumo: secondo Istat, a settembre 2022 l’indice dei prezzi al consumo per la collettività al lordo dei tabacchi ha segnato +0,3% mensile e +8,9% annuale, rispetto al +8,4%/anno previsto ad agosto, mentre stando a Moody’s il PIL italiano avrà crescita zero nel 2023 dopo il +2,7% atteso per fine 2022. Quindi, l’ondata inflazionistica spingerà la stagnazione.
Anche sul piano degli investimenti, la stagflazione porterà trend negativi sulla maggior parte degli asset eccetto quelli conservativi (come Titoli di Stato indicizzati o conti deposito e Buoni Fruttiferi nel caso dell’Italia, che hanno registrato nel 2022 rendimenti fino a +113% rispetto l’anno precedente); negli altri casi la crisi colpirà produttività e vendite, con relativi cali azionari e obbligazionari.
Per aggirare tale criticità, Goldman Sachs Asset Management consiglia di investire su titoli azionari value, di imprese mature e consolidate in grado di resistere alle peggiori crisi, ma non su quelli growth, dall’alto potenziale di crescita ma maggiore instabilità. Riguardo l’asset obbligazionario, si consiglia invece credito di qualità superiore proveniente da mercati sviluppati, evitando mercati emergenti e bond high-yield. In momenti come quelli attuali, i tassi variabili performeranno più rispetto quelli fissi.
In ogni caso, diversificare il proprio portafoglio investimenti in modo strategico può essere una difesa agli effetti della stagflazione, bilanciando guadagni/perdite e contrastando la volatilità con più asset che possano garantire almeno il mantenimento dei capitali investiti: tra questi si consigliano anche gli ETF, suddivisi per comparti industriali e tolleranza al rischio.
Stagflazione nella storia
Se in precedenza inflazione e stagnazione si erano sempre presentate separatamente, dall’inizio degli anni ’70 la stagflazione si manifesta nei principali paesi avanzati dopo l’aumento del prezzo del petrolio deciso dall’OPEC: ciò ha portato al conseguente aumento dei costi di produzione nei processi diretti e indiretti su petrolio e derivati, in particolare sui carburanti; tuttavia, la manovra ha avuto effetto anche sul costo di altre materie prime, portando aumenti generalizzati dei prezzi.
I peggiori casi sono difatti connessi alle crisi petrolifere 1973-1975 e 1978-1979: il PIL subisce una battuta d’arresto rispetto al Boom economico degli anni ’60 a causa della sofferenza del greggio, che da una parte sosteneva industria e agricoltura ma dall’altra veniva visto come un pericolo sul lungo periodo per la sua non-rinnovabilità. Tale situazione portò l’OPEC a fermare le forniture occidentali di petrolio.
Una condizione completamente nuova sino ad allora, che ha messo in discussione schemi prevalenti come come la Curva di Bill Phillips o la Teoria Generale di John Keynes. Il termine è stato utilizzato per la prima volta dal politico britannico Iain Macleod nel 1965 ed è stata in seguito profetizzata nel 1976 dal Premio Nobel statunitense Milton Friedman nei libri Capitalism and Freedom e Storia Monetaria degli Stati Uniti.
Stagflazione nel periodo odierno
Con la ripresa dalla pandemia CoViD-19 ostacolata dal conflitto Russia-Ucraina, anche nel secondo semestre 2022 si è tornati a parlare di stagflazione: i due fenomeni hanno congiuntamente portato all’accelerazione dei prezzi, specialmente nel settore energetico ancora strettamente legato a quello petrolifero, compromettendo le proiezioni di crescita economica globale. A risentirne maggiormente è stata l’Europa, poiché fortemente dipendente dal gas russo, e gli Stati Uniti, che prevedono uno scenario di recessione.
“Questi sono tempi difficili, sia per le banche centrali, che devono gestire il rallentamento della crescita e il rialzo dei prezzi senza trascinare l’economia nella stagflazione e nella recessione, sia per gli investitori, che devono proteggere i loro portafogli. Le condizioni di volatilità potrebbero avere ripercussioni negative, ma riteniamo che gli investitori che mantengono un approccio attivo e rifiutano di farsi prendere dal panico del mercato abbiano le migliori possibilità di rimanere a galla.”
Queste le parole di Simona Gambarini di Goldman Sachs Asset Management, che fa riferimento anche al delicato e incerto scenario degli investimenti, tuttavia la presidente BCE Christine Lagarde a marzo 2022 aveva già scongiurato un rischio di stagflazione, invitando all’integrazione tra politica fiscale e monetaria.
A conti fatti, ad avvalorare la posizione BCE è la caratteristica delle economie avanzate di essere meno dipendenti da produzione energetica e industriale e più flessibili, riassorbendo i contraccolpi di crisi energetiche e non solo. Anche le banche centrali presentano regimi più sviluppati e solidi, con maggiore attenzione nel tenere sotto controllo i trend inflazionistici, concentrandosi sulla stabilità dei prezzi. In ogni modo, le politiche monetarie di BCE, FED e delle autorità nazionali sui costi energetici saranno cruciali per ridurre il rischio e guidare verso la ripresa.
Stiamo tornando alla stagflazione in stile anni ’70?
Questo non ha niente a che fare con gli anni ’70, che erano un periodo piuttosto triste, e non solo per via del poliestere e della discoteca, dice Barry Ritholtz, CEO della Ritholtz Wealth Management
I timori che l’economia globale stia per vivere un periodo prolungato di alta inflazione insieme alla stagnazione economica – o stagflazione – come si è visto negli anni ’70 sono probabilmente infondati.
Una migliore comprensione del rischio da parte della banca centrale, una minore sensibilità economica all’aumento dei prezzi dell’energia, le riforme dal lato dell’offerta e le basse aspettative di inflazione a lungo termine, rendono il periodo economico che viviamo abbastanza diversa dal “triste decennio”.
Cosa dovrebbe fare chi investe in azioni?
La stagflazione
La stagflazione è un lungo periodo di crescita economica ferma o molto lenta in cui l’inflazione rimane ostinatamente alta.
Coniato per la prima volta dal politico britannico Iain Macleod nel 1965, è stato ampiamente utilizzato durante le crisi petrolifere degli anni ’70. Ciò ha portato a una lunga recessione con un’elevata disoccupazione e un’inflazione a due cifre.
Molti economisti avevano precedentemente pensato che la combinazione di bassa crescita economica e alta inflazione fosse impossibile. La curva di Phillips descrive una relazione inversa tra disoccupazione e inflazione; il compromesso tra loro era al centro del processo decisionale.
Quali sono le cause della stagflazione?
La stagflazione segue spesso un’improvvisa riduzione della capacità produttiva, che arriva subito dopo un inaspettato, ma sostenuto, aumento dei costi di input.
Durante la crisi petrolifera del 1973, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) ha imposto un embargo petrolifero all’Occidente. Il prezzo del petrolio è quadruplicato, portando a costi energetici, di trasporto e di produzione più elevati. L’inflazione è rimasta alta per qualche tempo, anche se la disoccupazione è aumentata.
Vengono tracciati parallelismi con i recenti blocchi COVID. Ciò ha interrotto la fornitura di microchip e altri componenti chiave, provocando un aumento dei prezzi dei prodotti finiti e una maggiore pressione sui costi.
L’attuale squilibrio tra domanda e offerta ha portato l’inflazione più alta che abbiamo visto negli ultimi 40 anni. Alcuni economisti temono che tassi di interesse più elevati riducano la capacità senza far scendere l’inflazione, annunciando un ritorno alla stagflazione.
Quindi, siamo diretti verso la stagflazione?
È improbabile un periodo in stile anni ’70 di alta inflazione con bassa crescita . Ciò è dovuto ad alcune differenze fondamentali tra ora e allora, al di là del cattivo senso della moda degli anni ’70!
- Le banche centrali ora comprendono meglio la stagflazione e l’importanza di mantenere basse le aspettative di inflazione e inflazione. Ricordano come fu solo dopo che Paul Volcker divenne presidente della Federal Reserve statunitense nel 1979 e aumentò i tassi di interesse per un lungo periodo, l’inflazione fu portata sotto controllo.
- Le economie sviluppate dipendono molto meno dall’energia rispetto agli anni ’70. L’energia richiesta per produrre ogni dollaro USA di PIL reale negli Stati Uniti è diminuita di oltre la metà dal 1975. Ciò riflette la transizione dalla produzione ad alta intensità energetica ai servizi e trasporti, riscaldamento, ecc.
- Le riforme dal lato dell’offerta introdotte negli anni ’80 hanno reso l’economia molto più flessibile e in grado di assorbire gli shock dell’offerta causati da costi di input più elevati. Questi includevano tasse dirette più basse, tariffe commerciali ridotte, indipendenza della banca centrale, deregolamentazione e mercati del lavoro più flessibili.
- Infine, le aspettative di inflazione sono ora molto inferiori rispetto agli anni ’70, dopo anni di rialzi dei prezzi bassi e stabili. Nonostante l’inflazione dell’IPC di settembre negli Stati Uniti dell’8,2%, le aspettative di inflazione al consumo a lungo termine erano solo del 2,9%.
Cosa significa questo per gli investitori azionari?
È improbabile un ritorno alla stagflazione in stile anni ’70; tassi di interesse più elevati e sostenuti ridurranno l’inflazione riducendo la domanda e rallentando l’economia. Pertanto, si prevede che i mercati di investimento rimarranno volatili per qualche tempo.
Tuttavia, il calo dell’inflazione dovrebbe presto aiutare a stabilizzare le aspettative sui tassi di interesse , dando alle imprese e ai consumatori la fiducia necessaria per fare piani a lungo termine.
Le aziende in settori in crescita con buoni margini, livelli di indebitamento moderati e la capacità di trasferire l’inflazione dei costi sui clienti saranno in una buona posizione per aumentare gli utili in un tale contesto.
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